Amina Tyler

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Amina Sboui

Amina Sboui (in arabo أمينة تيل?), nota con lo pseudonimo o nickname di Amina Tyler[1] (Tunisia, 7 dicembre 1994[2]) è un'attivista e blogger tunisina, che ha fatto parte del movimento femminista denominato FEMEN.

Nata in Tunisia, figlia di un medico (Mounir) e di un'insegnante, ha passato alcuni anni in Arabia Saudita dove i genitori si erano trasferiti per lavoro[3]. Rientrata con la famiglia in patria, era una studentessa di liceo quando il 1º marzo 2013 ha diffuso in rete su Facebook una fotografia a seno nudo con una scritta secondo cui il corpo appartiene alla donna[4]. Dopo lo scalpore generato da questa forma di protesta, ha subito minacce ed accuse dai Salafiti.[5]

Il 1º maggio 2013 ha tentato di introdursi al meeting del partito tunisino CPR (Congresso per la Repubblica), per denunciare la ministra Sihem Badi, ma è stata fermata dalla Polizia. Il 19 maggio 2013 è stata arrestata e condotta nel carcere di Messaadine (Governatorato di Susa) con l'accusa di avere imbrattato il muro del cimitero di Kairouan (città in cui era previsto il congresso del gruppo Ansar al-Charia e nella quale Amina intendeva effettuare un atto dimostrativo), di profanazione di cimitero e di detenzione di arma. Nel processo, nel quale rischiava una pena detentiva superiore a due anni[6] è stata condannata per questa sola ultima imputazione (consistita nel possesso di uno spray urticante per difesa personale) ad una pena pecuniaria corrispondente a 150 euro.[7]. Nonostante la condanna a pena solo pecuniaria, Amina è rimasta in carcere per nuove imputazioni sulla moralità della condotta ed è in attesa di giudizio.[8]

Il movimento FEMEN ha lanciato una campagna in favore di Amina per consentirle di andare a studiare in Europa. Il 29 maggio 2013 tre militanti di Femen (due francesi ed una tedesca), nel corso di una protesta a sostegno di Amina sono state arrestate e interrogate a Tunisi.[9]

In data 29 luglio 2013 è stata emanata la sentenza di non luogo a procedere contro Femen Amina Sboui per oltraggio contro un secondino, ma la giovane è rimasta in carcere per aver scritto "Femen" sul muro di un cimitero.[10] Rilasciata ad agosto 2013 in libertà condizionata[11], ha riferito alla stampa di voler lasciare il movimento FEMEN perché nelle proteste in Francia a favore della sua liberazione ha ravvisato delle offese islamofobe (si era gridato Amina Akbar, Femen Akbar, una parodia di preghiera, davanti all'ambasciata di Tunisia in Francia; è stata data alle fiamme la bandiera di Tawhid, dogma fondamentale dell'Islam, davanti alla moschea di Parigi.[12] Impossibilitata a dare gli esami di maturità in Tunisia a causa della detenzione, dopo la liberazione si è trasferita a Parigi per completare gli studi per il baccalauréat.[3]

Nel luglio 2014, tramite un social network, denunciava di aver subito violenza nel Metropolitana di Parigi: il 7 luglio, nella stazione di Place de Clichy, presso Pigalle, sarebbe stata avvicinata da cinque salafiti e da loro trascinata con la forza fuori dalla metropolitana per essere minacciata di violenza carnale e quindi sottoposta alla lettura forzosa del Corano e alla rasatura di capelli e sopracciglia[13]. A seguito delle indagini della gendarmerie, smascherata dalle telecamere di sicurezza, con una lettera al giornale Libération, il 24 settembre 2014 ha confessato trattarsi di una calunnia inventata di sana pianta[14][15], un comportamento che le ha guadagnato un procedimento penale "denuncia di reati immaginari"[15]

Un mese prima, il 20 agosto, insieme al suo compagno, era stata sottoposta a una misura restrittiva della libertà, la sorveglianza a vista, con l'accusa di aver aggredito, la sera prima, una donna coperta dal velo islamico[16]. Rilasciata all'indomani, è stata rinviata a comparire davanti al tribunal correctionnel per violenza volontaria aggravata[17].

  1. ^ Francesco Battistini, Tunisia, processo ad Amina l’attivista araba in topless. Islamici scatenati in tribunale, “Corriere della sera”, 31 maggio 2013, p. 16
  2. ^ Antonio Armano, Amina. A seno nudo contro l’intolleranza, Il Libro dell'Anno 2013, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2013.
  3. ^ a b (FR) Quentin Girard, Amina. Un nouveau dessein, "Libération", 5 settembre 2013
  4. ^ Francesca Paci, Sfida in topless nel nome di Allah, “lastampa.it”, 3 aprile 2013
  5. ^ Sfidò i salafiti in topless. Scomparsa, Corriere della Sera, 24 marzo 2013, p. 14.
  6. ^ Per la Femen Amina multa di 100 euro, “Lettera 43”, 30 maggio 2013, su lettera43.it. URL consultato il 3 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 22 settembre 2013).
  7. ^ Cristina Mastrandrea, Tunisia, Amina scagionata ma resta in cella, “Repubblica”, 31 maggio 2013
  8. ^ Tunisia, la Femen Amina rimane in carcere, “Lettera 43”, 31 maggio 2013, su lettera43.it. URL consultato il 3 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 14 giugno 2013).
  9. ^ Tunisia, fermate tre Femen, “Il Secolo XIX”, 29 maggio 2013, su ilsecoloxix.it. URL consultato il 3 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 14 giugno 2013).
  10. ^ ANSA, Tunisia: Amina, non luogo a procedere per oltraggio (TXT), su ilmattino.it, Flashnews - Il Mattino (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2015).
  11. ^ Tunisi, torna la sfida di Amina: foto a seno nudo su Facebook, su repubblica.it, www.repubblica.it, 15 agosto 2013. URL consultato il 1º settembre 2013.
  12. ^ Tunisia, Amina lascia le Femen: "Gruppo islamofobo, finanziamenti oscuri", su repubblica.it, www.repubblica.it, 20 agosto 2013. URL consultato il 1º settembre 2013.
  13. ^ (FR) Ondine Millot, La féministe Amina Sboui porte plainte pour agression [collegamento interrotto], in Libération, 7 luglio 2014.
  14. ^ (FR) Quentin Girard, Amina Sboui : « Mon mensonge était un appel au secours », in Libération, 25 settembre 2014.
  15. ^ a b Amina ammette: "Ho inventato l'aggressione nel metrò di Parigi", la Repubblica, 25 settembre 2014.
  16. ^ (FR) L'ex-Femen Amina placée en garde à vue, in Libération, 21 agosto 2014.
  17. ^ (FR) L'ex-Femen Amina renvoyée au tribunal pour agression, in Libérationdata =22 agosto 2014.

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